Gli investitori professionali pensano che in Asia il petrodollaro avrà terminato il suo ciclo nel giro di 10 anni.
US dollar vs Chinese Renminbi |
Libera traduzione di un editoriale pubblicato il 5 settembre 2017 su Goldbroker, https://goldbroker.com/news/game-changer-china-to-buy-oil-with-gold-backed-yuan-1183. L’articolo si rifà alle analisi sullo stesso tema pubblicate da Jim Rogers su ‘Russia insider’, vedi http://russia-insider.com/en/politics/petrodollar-end-looming-china-allies-dump-it-oil-trading-jim-rogers/ri20961.
Con una accelerazione impressionante negli ultimi anni la Cina ha accumulato tonnellate su tonnellate di oro fisico nei suoi forzieri di Shanghai (SGE – Shanghai Gold Exchange), HongKong (HKGE – HongKong Gold Exchange) e PBOC – People’s Bank of China. A chi si chiedeva la ragione di questa corsa frenetica al lingotto, appare oggi più che mai evidente la risposta: la Cina si sta preparando a sostituire il dollaro con il renminbi (yuan) come moneta di riferimento mondiale e sta rinforzando l’immagine di solidità della sua valuta usando l’oro come pilastro di sostegno. Si stima che a luglio 2017 le riserve di oro fisico detenute dalla Cina abbiano superato le 20.000 tonnellate, di cui 4.000 conservate nella casseforti della Banca Centrale PBOC.
La Cina è già la prima potenza manifatturiera del mondo e lo yuan sta gradualmente sostituendo il dollaro come valuta di scambio. Il Venezuela ha smesso di accettare dollari per il suo petrolio e sta perseguendo un nuovo sistema di pagamento internazionale con la creazione di un paniere di valute (yuan, rublo, yen, euro, rupia) per liberarsi dei legami con il dollaro. Inoltre, i contratti di fornitura diretta di gas fra Russia e Cina, o quello fra Qatar e Cina non sono certo denominati in dollari USA. Viste inoltre le attuali tensioni fra Iran e Corea del Nord con gli USA, la comparsa di una moneta di scambio internazionale alternativa al dollaro e non soggetta al controllo della FED (Federal Reserve System) può rappresentare la via di uscita principale dall’embargo.
Invece di perdere tempo allo specchio a cotonarsi la bionda chioma, l’inquilino pro tempore della Casa Bianca – mi rifiuto di chiamarlo Presidente - farebbe bene a preoccuparsi di come il mondo vada avanti anche senza i suoi tweets e del declino degli Stati Uniti come potenza di riferimento globale. Altro che ‘America first’!